13 novembre 2014

Credito esaurito

Il Movimento No TAV e l’Opposizione francese alla Lyon-Turin
richiamano l’attenzione dei media su quanto sotto riportato


A) Il Tunnel di Base della Torino-Lione costa oltre 12 miliardi di euro e non 8,5. Lo dicono i conti che RFI è tenuta a fare per legge.
B) L’Europa ha solo 5,5 miliardi di euro per progetti di questo tipo (core network), quindi è matematicamente impossibile che ne assegni la maggior parte (3,4 miliardi di euro) alla Torino-Lione.
C) L’Italia ha solo 1,37 miliardi di euro per la Torino-Lione, insufficienti a cofinanziare l’opera: sono quelli disponibili entro il 2020.
A+B+C= la Torino-Lione è morta, il Governo ha una stupenda occasione per destinare questo fiume di denaro a piccole opere utili a tutti gli italiani.
Testo del comunicato stampa

A) Ieri al Senato le Ferrovie e il Governo hanno fatto una pessima figura. Nessuno è stato in grado di spiegare in termini comprensibili quale sia il vero costo del Tunnel di Base (57 km) della Torino-Lione. L’asino è cascato sulla rivalutazione. I costi delle opere pubbliche sono soggetti a rivalutazione, non per colpa dell’inflazione ma per tenere conto di: revisione prezzi, oneri finanziari, adeguamenti progettuali e imprevisti (frequenti nei tunnel). Per legge il CIPE decide in base al “costo rivalutato a vita intera” e non sulle supposizioni dell’architetto di turno. I calcoli di RFI considerano una rivalutazione annua del 3,5%, il medesimo indice utilizzato nell’Analisi Costi Benefici di Virano e nel Progetto Definitivo di LTF. Il risultato fa oltre 12 miliardi di euro. La verità si saprà esclusivamente quando sarà effettuata una certificazione del costo da parte di un soggetto completamente terzo, come previsto nell’Accordo Italia- Francia del 30 gennaio 2012.
B) I fondi europei sono quelli del bando “2014 CEF Transport Multi-annual Call”. Per progetti “core network” come questo, il bando dispone di soli 5,5 miliardi di euro, ai quali ambiscono numerosi progetti in differenti Stati membri. Tra Brennero (3,4 miliardi di euro) e Torino-Lione (altri 3,4), l’Italia da sola vorrebbe contributi superiori a tale cifra. Se si aggiungono gli altri “pretendenti” europei (ad esempio i progetti Fehmarn Belt e Seine-Scheldt), i desideri sono oltre il doppio della disponibilità. Pertanto è matematicamente impossibile che la Torino-Lione riceva dalla UE 3,4 miliardi di euro, ovvero il 40% propagandato dai fautori dell’opera.
C) Nel Bilancio dello Stato, il cofinanziamento nazionale della Torino-Lione fa appello ad un’autorizzazione di spesa della Legge di Stabilità 2014 (capitolo MIT 7532). I fondi allocati ammontano complessivamente a 2,56 miliardi di euro, spalmati fino al 2029. L’Europa erogherà contributi esclusivamente su spese effettuate entro il 2020 (questo è il periodo di riferimento del bando in corso). I soldi a bilancio in anni successivi al 2020 non sono utilizzabili. Pertanto, con i fondi assegnati entro il 2020, attualmente l’Italia può coprire solo 1,37 miliardi di euro, sensibilmente meno di quelli richiesti per cofinanziare la Torino-Lione.
Questi elementi sono verificabili da qualsiasi cittadino su documenti pubblici: Contratto di Programma RFI, Progetto Definitivo LTF, Regolamenti CEF e TEN-T e relativo bando europeo, Legge di Stabilità dello Stato.
Il CIPE non è in grado di autorizzare l’opera, mancando tutti i presupposti: Valutazione di Impatto Ambientale (ferma da due anni), approvazione del Progetto Definitivo (idem), definizione certa del “costo a vita intera” (A), certezza del contributo europeo (B), disponibilità finanziaria nazionale (C).
Il Governo Italiano ha davanti a sé una stupenda occasione: anziché lasciarlo ingoiare dall’inutile Tunnel di Base della Torino-Lione, usi questo fiume di denaro per le piccole opere veramente utili agli italiani. Buon lavoro



www.notav.info/creditoesaurito

09 novembre 2014

Conti in ordine e retorica


L'imposizione sociale, politica ed economica aumenta a tutti i livelli,
si dilata, è inarrestabile, inafferrabile e anonima.
Ci avviluppa quotidianamente.
Non è facile identificarla né combatterla.


La cosa attualmente più rilevante è l'irrilevanza sostanziale delle politiche nazionali. In Italia è di un'evidenza sconcertante. Da quando la cosiddetta crisi ha ufficialmente preso avvio, infatti, si sono alternati dei governi molto simili tra loro, denominati di “larghe intese”. Uno dopo l'altro hanno bellamente fallito il compito di “portarci fuori dal guado”. In realtà si tratta di accozzaglie politiche per una sbandierata “salvezza nazionale”, reiterata proposizione seriale di un reazionario “patto di ferro” conservativo tra le forze più autoritarie degli schieramenti di destra e sinistra. Dopo la decadenza da premier di Berlusconi per ostentata inadeguatezza, presentati ogni volta con gran suono di fanfare sono stati approntati prima Monti, poi Letta, ora Renzi. Uno dopo l'altro hanno mostrato e continuano a mostrare la più completa incapacità a risolvere i problemi che ci assillano. Al contempo, avendone annullato senso finalità e differenze, stanno dimostrando quanto sia menzognera e fallace la ripartizione istituzionale tra destra e sinistra, ridotte a meri schieramenti per spartizioni di poltrone e di potere.
Tutti incapaci? Oppure c'è qualcosa di sovrastante che oggettivamente non permette d'intervenire in modo adeguato? Accanto a competenze vistosamente poco brillanti, non di rado incompetenze, emergono con sempre maggior forza un insieme di condizioni che limitano e circoscrivono qualsiasi intervento atto a governare lo stato delle cose. Le politiche nazionali appaiono sempre più in ostaggio, indotte a scegliere ed agire da pressioni che vedono in gioco egemoniche potenze sovrastatali capaci di vincolare pesantemente. I vari management italiani succedutisi negli ultimi decenni, essendosi divertiti in più che allegre gestioni incuranti delle conseguenze, hanno costruito addosso a tutti noi situazioni che si stanno dimostrando particolarmente devastanti. I vari mediocri politici di turno non riescono a liberarcene (o non vogliono?), rendendole vieppiù intricate e inestricabili.
Osservando i fatti e lo svolgersi delle cose, cercando di coglierli nel loro compiersi naturale non per come si subiscono, sono sempre più convinto che all'interno dell'esistente non sia possibile trovare soluzioni che vengano incontro alla popolazione nel suo insieme. La plumbea situazione vigente, equiparabile a un soffocante sistema gordiano, pur continuando a modificarsi non muta propensione e fondamenti originari. Ad ogni atto sembra voler garantire e rafforzare lo status di disparità, disuguaglianze e ingiustizie che opprime da millenni le categorie sociali sottoposte. In questa fase la grandissima quantità di quelli che non contano sta subendo asfissianti controlli e pesanti manipolazioni eco/tecnologiche, mentre le oligarchie finanziarie dominanti e le schiere dei loro accoliti si stanno rimpinguando abbondantemente.
Occorre uno sguardo diverso, capace di porsi oltre l'apparenza dell'esistente e ansioso di scrutare orizzonti che finora sono apparsi imperscrutabili. In tal senso la fisica quantistica ci offre una chiave di lettura illuminante. “Quando cambi il modo di osservare le cose, le cose che osservi cambiano”, ci suggerisce uno dei suoi presupposti fondanti. Dobbiamo innanzitutto smettere di decifrare la realtà attraverso il filtro di schemi interpretativi che non sono più in grado di comprenderla, addirittura di vederla. Se capissimo e accettassimo la radicalità incontrovertibile del fatto che sono proprio i fondamenti dell'esistente la causa principale dei disastri che continuamente i governi cercano di rattoppare, forse riusciremmo a concentrarci sulla ricerca di scelte che, volendo superare e annullare l'esistente, cerchino d'impostare fondamenti diversi da quelli che ci opprimono.
Ci renderemmo allora conto che la radice dei problemi che ci attanagliano è a monte e ci accorgeremmo che ciò che dobbiamo risolvere non è tanto la percentuale dello spread, o un'efficiente spending rewiew o l'ammontare del debito o tutte le altre gabbie socioeconomiche con cui è stato imprigionato il presente stato di cose. Adesso ci viene trasmessa l'urgenza di doverne dipendere perché ci troviamo dentro il gorgo irrisolvibile di una spirale finanziaria attanagliante impostata ad hoc. In particolare il debito pubblico, madre malefica di tutti i disastri che c'incatenano, che non abbiamo fatto noi individui senza potere ma ci è stato cucito addosso dall'ingordigia di chi domina, in quanto tale esiste solo se riconosciuto. “Un debito è solo la perversione di una promessa. È una promessa corrotta dalla matematica e dalla violenza” (Debito, di David Graeber, pag. 379). Nasce migliaia di anni fa in concomitanza col denaro per rendere schiavo chi era debitore ed ha continuato a sussistere, perfezionandosi, nei diversi contesti succedutisi. È un'entità astratta guidata da spinte dominatrici e direzionata a produrre effetti concreti rovinosi.
Illuminante in tal senso il trattamento regalato alla Germania sconfitta dalla seconda guerra mondiale. Oltre a ricevere gli aiuti del Piano Marshall per la ricostruzione, come ogni altro stato alleato europeo, “nel 1948 l'America decise semplicemente di abbuonare tutto il debito accumulato dalla Germania durante il regime nazista di Hitler. Il debito pubblico della Germania nel 1948 ammontava al 675% del Pil nazionale. Più del quintuplo dell'attuale debito pubblico italiano” (Banchieri, di Federico Rampini, pag. 24). La Germania dunque, che all'interno dell'Europa sta imponendo la dittatura di condizioni capestro in nome di un preteso rigore (sugli altri che adesso dipendono dalla sua forza), è riuscita a diventare la potenza tirannica che è proprio perché le è stato concesso ciò che ora impedisce ad altri con tutte le proprie abbondanti forze. Una tale arroganza è una dimostrazione eloquente che i debiti sono massacranti non in virtù propria, ma perché ingiunti per volontà di potenza non necessarie.

Vincoli inscindibili

Le forze oggi dominanti sembrano volerci letteralmente massacrare. Lo fanno con modalità più ambigue e raffinate della classica guerra guerreggiata, che comunque all'occorrenza viene messa in atto senza scrupoli, seminando rovine di vite distrutte invece delle macerie fumanti dei bombardamenti. Il fondamento del potere è sempre di più una specie di “costrizione obbligante”, la messa in opera di vincolanti condizioni oggettive cui non riesci a sottrarti. Mentre il classico vecchio esercizio del comando, cioè la costrizione attraverso imposizioni date da ordini gerarchici, è sempre meno efficace e più obsoleto.
La creazione del “debito istituzionale insolvibile”, che lega mani e piedi a creditori finanziari potenti, la pretesa di dover tenere “conti pubblici in ordine”, sciolti dalle responsabilità personali degli amministratori e che intrappolano intere popolazioni artatamente amministrate, la creazione sistematica e continua di norme e leggi che regolamentano ogni movimento e ogni aspetto della vita quotidiana individuale, sono macro/aspetti di normazione quotidiana che creano volutamente una “costrizione obbligante”, capace di rendere infernali le vite delle persone, completamente assoggettate e senza nessuna possibilità di replica o soluzione.
L'imposizione sociale politica ed economica, aumenta a tutti i livelli, si dilata, è inarrestabile, inafferrabile e anonima.
Di fronte a questa aggiornata forma di dominio totalizzante decadono le vecchie modalità di lotta, perché perdono di senso le logiche antitetiche del “muro contro muro”. Non ci si può contrapporre né fare guerra né serve combattere, perché subiamo costrizioni indirette più che imposizioni dirette. La lotta per la libertà allora non può che esprimersi attraverso la ricerca di come sottrarsi alle condizioni obbliganti, per riappropriarsi in pieno di autonomia di scelta e decisione, cioè riappropriazione della politica come riferimento principale della gestione comunitaria, questa volta non gerarchica e autenticamente autogestita.
Andrea Papi

13 ottobre 2014

ASSEMBLEA DEI SOCI

DEL
 
FONDO ETICO E SOCIALE
 
DELLE PIAGGE

 
SABATO 18 OTTOBRE 2014 ORE 17,30

 
Centro Sociale IL POZZO
via Lombardia, 1/p - tel. 055373737

 
l’Assemblea è aperta a tutte le persone interessate
alla fine dell’assemblea per chi lo desidera
è prevista una cena conviviale condivisa

06 ottobre 2014

6° festa del microcredito 2014


Venerdì 10 ottobre

ore 19,00 microcena gustosa ad offerta libera
ore 21,00 CAMBIARE SISTEMA… percorsi di microcredito e finanza autogestita, incontro FRANCESCO GESUALDI – Centro Nuovo Modello di Sviluppo, accompagnati da Giovanna Panigadi – MAG6 di Reggio Emilia


Sabato 11 ottobre
ore 10,00 apertura Mercato della Solidarietà e della Vicinanza
ore 10,30 mi metto in gioco: laboratorio sul denaro con i ragazzi della scuola media
ore 16,00 FUORI DAGLI SCHEMI… esperienze concrete di microcredito, incontro aperto, con realtà cittadine e non, per scrivere insieme il nostro manifesto del microcredito
ore 18,30 presentazione campagna STOP TTIP*
ore 19,00 Asta a vista: vendita al miglior offerente di quadri d’autore per l’autogestione del Fondo Etico e Sociale
ore 19,30 Interventi musicali dei ragazzi della Scuola popolare di musica delle Piagge
ore 20,30 Cena delle Convivialità, tutto il ricavato sarà utilizzato per sostenere Il Fondo Etico e Sociale delle Piagge
ore 22,00 DAL NOSTRO CANTO in concerto – canti popolari e della tradizione anarchica.


11 ottobre 2014, giornata di mobilitazione europea per fermare il Trattato di Partenariato Transatlantico su commercio e Investimenti (TTIP). Si tratta di un accordo segreto che Unione Europea e Stati Uniti stanno trattando per la deregolamentazione di commercio e investimenti a vantaggio dei profitti delle grandi imprese transnazionali e a svantaggio della democrazia e dei nostri diritti, a partire da quelli occupazionali e ambientali, della sicurezza del cibo senza tralasciare la privatizzazione di sanità e istruzione. 

01 ottobre 2014

Finanza e autogestione

di Luca Assumma


«La Calabria è tra le prime regioni per la diffusione dell’usura. Dove il credito legale diminuisce o è di pessima qualità, essa aumenta. Paradossalmente, da noi i depositi di famiglie e imprese crescono, ma le banche non hanno creato un “effetto leva” e anzi hanno usato per l’economia reale meno di quanto hanno raccolto, rivolgendo quei soldi ad altri territori e finanza speculativa».


È uno scenario senza dubbio desolante, quello descritto da Gianni Votano di Microdanisma in un recente incontro attraverso il quale è stata lanciata la costruenda Mutua di autogestione del denaro calabrese. Uno scenario desolante che, però, la stessa associazione vuole provare a cambiare positivamente attraverso la stessa Mag, una comunità di risparmiatori e finanziati ben diversa dalle classiche banche. «La nostra associazione, insieme ad altre realtà e singoli, ha avviato la rete “Verso la Mag delle Calabrie” che ha l’obiettivo di creare quelle condizioni culturali e sociali per sviluppare una Mag in Calabria. Noi che sosteniamo la finanza etica non vogliano essere vittime o complici, per questo abbiamo lanciato questo progetto» ha dichiarato lo stesso Votano all’auditorium “Don Orione”.


Ma qual è la mission della Mag che Microdanisma sta costruendo insieme a realtà come Reggio non tace? La mutua si prefigge il meritorio e ambizioso obiettivo di effettuare prestiti anche a persone segnalate ai registri dei “cattivi pagatori” e quindi escluse dai circuiti finanziari in modo tale che non entrino nel circuito dell’usura, ma pure quello di dare fiducia ai non bancabili nel creare eticamente occupazione e sviluppo sul territorio. «Il progetto Mag delle Calabrie, che come le altre si ispira alle casse rurali e si basa su solidarietà e fiducia ha una grande sfida davanti: costituirsi entro Natale. Servono minimo 600mila euro, ce la faremo impegnandoci senza aspettare che ci arrivino dall’alto» ha aggiunto padre Giovanni Ladiana di Reggio non tace.


«Padre Zanotelli afferma che col carrello della spesa noi votiamo, così succede anche quando scegliamo dove collocare i nostri risparmi. Possiamo orientarli verso il bene comune. Due sono i concetti basilari della Mag: mutualità e autogestione. Mettere soldi nella Mag non è una donazione, ma un investimento perché chi versa una quota diventa socio, e l’interesse serve solo alla sostenibilità della struttura che investe in terzo settore, economia solidale, non bancabili e start up. Noi, che siamo nati per “obiezione bancaria”, lo facciamo dal 1980» ha detto il presidente della Mag Milano Patrizio Monticelli.


«Dal 1999, quasi 40mila persone finora hanno creduto che si può utilizzare il nostro denaro per costruire ricchezza e benessere, davanti a banche che non hanno più una funzione sociale alle loro origini. La nostra banca, che si basa su una rete di responsabilità e fiducia, raccoglie 900 milioni di euro di risparmio e ne presta quasi 800, in Calabria c’è un rapporto 6-16 mentre quelle classiche lo incamerano qui senza spenderlo per l’economia reale calabrese. L’etica conviene perché abbiamo un tasso di sofferenza dell’1%, mentre la media delle altre banche è del 7%» ha affermato l’esponente di Banca Etica Teresa Masciopinto. «Numerose inchieste hanno messo in evidenza come le banche convenzionali spesso abbiano allargato i cordoni della borsa per imprese e soggetti contigui con il potere criminale, quindi gli “Accordi di Basilea” valgono solo per onesti e deboli. Per questo sostengo questo progetto e le realtà di finanza etica solidale» è stato un passaggio dell’imprenditore calabrese “resistente” Nino De Masi.


Per informazioni, ci sono il sito www.magdellecalabrie.org e il telefono 0965-601210, per sostegno alla “Mag” c’è l’iban IT70 N050 1803 4000 0000 0158 078 intestato ad associazione Microdanisma “Verso la Mag delle Calabrie” c/o Banca Popolare Etica.
Fonte: terrearse.it

10 giugno 2014

L'economia la fa il metodo

Le "Idee eretiche" di Altreconomia 159


Dalle relazioni di dono al trusteeship gandhiano, che mette al centro la fiducia e non il possesso. Sono gli esempi -necessari- di un modello nuovo, per uscire dal conformismo e dall'ignoranza.
Il commento di Roberto Mancini


Un metodo nuovo per l’economia. È una svolta capace di portarci oltre il deserto dell’ignoranza e del conformismo, nel quale restano arenati sia la Commissione europea sia i governi succedutisi in Italia, da Berlusconi a Renzi.

Ma dove attingere gli elementi per questa profonda trasformazione della cultura? Dai primi del ‘900 a oggi si è sviluppata la ricerca di modelli economici alternativi al modello capitalista e a quello del socialismo reale. Penso anzitutto all’economia delle relazioni di dono, che pone al centro la relazione tra le persone e la cura per ciò che dà loro da vivere. Al di là dell’economia formale capitalista, in molte aree del mondo (Africa, Asia, America Latina) è praticata questa economia popolare. “Dono” non significa “regalo”, ma dinamica di condivisione. Grazie a questa pratica alcuni popoli sono riusciti a sopravvivere all’impatto con il modello occidentale. Bisogna poi ricordare l’economia gandhiana della trusteeship. Basata sull’opera di Gandhi e sperimentata in India, tale concezione muove dal riconoscimento del fatto che l’economia è parte integrata dell’etica del bene comune. Il soggetto economico non deve attaccarsi al possesso, ma lavorare nello spirito dell’amministrazione fiduciaria (trusteeship). I talenti ci sono dati perché portino frutto per noi, ma anche per gli altri: il lavoro è servizio. Il vero soggetto dell’economia è la comunità locale, i cui talenti e le cui tradizioni servono a garantire la sussistenza e all’equo scambio commerciale dei propri prodotti tipici con le altre comunità del mondo.
Non va del resto dimenticata l’economia di comunità proposta da Adriano Olivetti e sperimentata a Ivrea. È un’idea nata dallo spirito cristiano della fraternità e dallo sforzo di tradurla in un ordinamento democratico comunitario. La rappresentanza democratica non può reggersi solo sul suffragio universale; va integrata dalla rappresentanza delle comunità territoriali, delle forze del lavoro e del mondo della ricerca. L’impresa è un bene comune, che respira con la vita democratica.
Sorta dagli studi di Nicholas Georgescu-Roegen, la prospettiva della bioeconomia configura un’economia radicalmente ecologica, che tiene conto della legge dell’entropia: per produrre qualcosa in realtà consumiamo energia e materia in quantità maggiori del prodotto stesso. Dobbiamo quindi orientare l’economia non alla crescita, né al mito dello sviluppo sostenibile, ma al risparmio, al riuso, al riciclo, al restauro, per mantenere aperto il futuro anche alle prossime generazioni. Tale intuizione è stata ripresa dal progetto delle decrescita di Serge Latouche, che punta instaurare la cura dei beni e delle risorse secondo criteri di sobrietà e di sviluppo dei beni relazionali.
Occorre anche considerare l’economia di comunione e l’economia civile. Nata dall’intuizione di Chiara Lubich e dal movimento dei Focolari, questa tendenza introduce in economia la logica della comunione attraverso la riorganizzazione dell’impresa. Il profitto va suddiviso nelle seguenti quote: una parte del profitto va all’imprenditore e a tutti i lavoratori, una parte per la solidarietà sociale, una parte per reinvestire nell’azienda in quanto bene comune, una parte per finanziare attività educative che formino persone all’altezza dello spirito di comunione. Da questa idea si è sviluppata la prospettiva dell’economia civile ad opera di Luigino Bruni e Stefano Zamagni. Essi affermano che il mercato va trasformato, da dispositivo di guerra di tutti contro tutti in un luogo di reciprocità. Da parte sua l’economista austriaco Christian Felber ha prefigurato l’economia del bene comune, in una visione che sostituisce al prodotti interno lordo (Pil) il Bilancio del bene Comune e subordina il profitto riducendolo a fine secondario dell’attività economica.
Più di 1500 imprese hanno aderito a questo progetto in Germania, Austria, Svizzera e Italia. Felber prevede lo sviluppo del credito cooperativo, la nazionalizzazione di gran parte delle banche e la chiusura delle Borse. Ricordo infine l’economia solidale e partecipativa. È un modello che punta sulla logica dell’equità e della solidarietà, nonché sulla pianificazione democratica partecipata. Tra gli esponenti di questa concezione segnalo Michel Albert, Albert Fresin e Peter Ulrich. Tutti questi modelli -se approfonditi, correlati tra loro e attuati- sono affluenti preziosi per la messa a punto di un metodo integrato in economia che farà del capitalismo nulla più che un triste ricordo.

Oltre euro e antieuro


di Andrea Papi

rivista anarchica
anno 44 n. 390   giugno 2014


Bisogna trovar la maniera di andare oltre il denaro per come è definito, organizzato e concepito. Bisogna ripensare come ricostruire autentici strumenti di scambio, questa volta autogestiti dalle comunità e non lasciati alle gestioni autoritarie della speculazione finanziaria.

La rappresentazione che continuiamo a farci del mondo è irrimediabilmente antropocentrica. Espone esclusivamente il punto di vista umano, che abusivamente si autoconsidera l'unica specie animale padrona, depositaria indiscussa del pianeta terra. Inoltre è discriminante nei confronti della gran massa dei più deboli, degli oppressi e dei sottomessi. Uno sguardo criminalmente parziale, che obnubila la consapevolezza e l'ammissione della letale tragicità con cui la nostra specie opera quotidianamente.
Gli strumenti che l'umanità continua a rendere operativi, motivandoli con una sempre meno convincente ricerca di “stare meglio”, continuano a trasformarsi regolarmente in lacci, gabbie, massacri, genocidi e stimoli per decessi suicidi. In pratica tutto e tutti siamo esposti a continui effetti deleteri. Solo un'esigua minoranza, sempre meno definibile come elite dal momento che non si tratta certo dei migliori, può difendersi perché possiede risorse per approntare mezzi adeguati, supportata dagl'ingenti capitali che le derivano dalle continue rapine perpetrate contro la stragrande maggioranza delle popolazioni che, ignare della partita che si gioca sul loro capo, ne subiscono invece le deleterie conseguenze.
Dentro un contesto culturale e d'azione che procede esclusivamente per dominare, mentre tutto finge di mostrarsi aperto verso mete dall'aspetto affascinante, la cosiddetta “globalizzazione”, cioè l'incontrollabile circolazione sovraterritoriale ed extrastatale di qualunque cosa, non fa altro che favorire sistematici effetti devastanti. In tal senso, per esempio, è illuminante e altamente significativa la propagazione planetaria sia delle malattie sia delle finanze che, pur muovendosi in campi molto distanti fra loro, entrambe producono effetti di massa particolarmente deleteri proprio in ragione della loro sostanziale capacità di espansione. Hanno in comune che scorrazzando liberamente producono disastri.
In un mondo sempre più interconnesso virus e batteri viaggiano in aereo e possono raggiungere in poche ore ogni angolo del pianeta. Secondo le statistiche dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanità), le malattie veicolate da insetti uccidono ogni anno un milione di persone, su più di un miliardo d'individui infettati nello stesso arco di tempo, e più della metà della popolazione mondiale sarebbe a rischio. Poi ci sono le cosiddette malattie tropicali dimenticate, come ad esempio la lebbra e la Dengue, un'infezione virale tropicale trasmessa dalla puntura della zanzara “Aedes aegypti” che nella sua forma più grave può provocare febbri emorragiche, che colpiscono più di un miliardo e mezzo di persone in tutto il mondo. Cifre che, sebbene allarmanti, in realtà sottostimano le gravi conseguenze sui sopravvissuti, come cecità, mutilazioni e altri handicap – afferma Margaret Chan, direttore generale dell'Oms. I fattori che favoriscono la diffusione globale di queste patologie sono molteplici. Oltre ai super citati cambiamenti climatici contribuiscono la sistematica rapida urbanizzazione, le inarrestabili sciagurate deforestazioni, l'agricoltura intensiva, il turismo di massa in continua rapida espansione e la colonizzazione di nuovi territori, ormai sempre meno circoscritti alle aree più depresse.

Folle accumulo di ricchezze
 La finanziarizzazione dell'economia invece, che opera attraverso le reti telematica ed elettronica globali, dal canto suo agisce su un piano di realtà virtuale che viaggia all'inimmaginabile velocità di nanosecondi (un nanosecondo corrisponde a un miliardesimo di secondo), riuscendo a imporre ad intere popolazioni condizioni di vita altamente diseguali, in moltissimi casi aberranti.
Da una parte favorisce solo un'esigua minoranza privilegiata, per conto della quale secondo dopo secondo accumula rendite finanziarie che raggiungono cifre iperboliche. Dall'altra parte, attraverso meccanismi e automatismi fuori controllo e al di là di ogni supposta regolamentazione, per realizzare questo folle accumulo di ricchezze concentrato in un numero infimo di mani costringe masse ingenti di persone a vivere in condizioni indigenti. Poveri o sotto la soglia di povertà, schiavizzati, ricattati e sottomessi, non protetti da nessuno e sottoposti alla prepotenza sistematica di normative e regolamenti che solo i ricchi riescono tranquillamente ad aggirare, gli altri, i non ricchi, subiscono sistematicamente soprusi e prevaricazioni insopportabili, anche fino alla morte all'inedia e all'impotenza. Siamo precipitati in un incubo che sta superando ogni immaginazione sui peggiori effetti della supremazia capitalista.
Di fronte a un tale desolante scenario, in questo terribile panorama le cui tinte sembrano più orride che fosche, rischia di diventare fasulla la contrapposizione diadica “euro o non euro?” che in Europa sta avviluppando la propaganda politica di ogni parte istituzionale in causa. Il problema non può essere racchiuso e limitato a soluzioni, solo apparentemente tecniche, che vanno alla ricerca di come rimettere in moto l'economia. È questo sistema economico e finanziario che non va e che, per sua stessa natura, produce mostri.
Per avere un'idea delle prospettive verso cui stiamo marciando con grande celerità è interessante la riflessione di Federico Rampini. Su “la Repubblica” del 3 aprile riporta lo scenario prospettato dall'esperto di finanza Sorkin sul New York Times. Nel 2040, o giù di lì, saremo pienamente entrati nell'era post-monetaria. Il denaro non si userà più perché ogni acquisto ci verrà addebitato, senza neanche accorgercene, direttamente sul conto personale aperto sullo smartphone, oppure identificandoci pupille, impronte digitali e impronte facciali con tecniche biometriche. Pagheremo tutto non con monete tradizionali, come euro o dollari, ma con monete virtuali emesse da Google o Facebook, oppure con crediti accumulati attraverso le spese su Amazon o i Tunes.

Una dicotomia dialettica destinata ad essere superata
L'era post-monetaria in parte è già iniziata. Giappone e Corea del sud, per esempio, usano già da un po' gli smartphone come portafogli virtuali. In Svezia, nella metropolitana di Londra, perfino in Kenia, stanno sperimentando l'uso di massa del telefonino come carta di credito per pagare vari servizi. E sempre di più si usano il PayPal di eBay e i sistemi di addebito che usano il software Android sui telefonini Samsung.
Nella prospettiva di cui parla Rampini l'esistenza del denaro quale mezzo di transazione smette di essere un problema eminentemente economico, per diventare un problema squisitamente di potere (potere di controllo, di prelievo, di indirizzo, ecc.). Personalmente non so se arriveremo mai alla condizione prospettata dalla “post-moneta”, cioè ad una totale mancanza dell'uso monetario sotto qualunque forma. Quello che invece mi sembra di capire è che stiamo avanzando verso un cataclisma sociale in cui il denaro si userà sempre meno, per essere progressivamente sostituito da mezzi di controllo sugli individui, come cip, carte di credito, prodotti finanziari e quant'altro, che non gestiremo direttamente e che ci verranno prelevati alla fonte da forze sovrastanti che decidono tutto al posto nostro in nome nostro.
Il problema allora sarà sempre meno se val la pena di far parte dell'euro o no, perché qualsiasi sia la moneta che useremo verremo di fatto giocoforza incanalati in un altro sistema di “acquisto-consumi”, non più basato su mezzi concretamente tangibili come la carta moneta, ma su operazioni computerizzate via etere la cui base non è materiale ma virtuale. Il fondamento di questo sistema non sarà più lo scambio volontario e consapevole, ma il controllo dei movimenti individuali e la perdita dell'autonomia. Sarà il trionfo più completo dell'ingerenza del dominio direttamente nella condizione esistenziale delle persone.
Euro o non euro è una dicotomia dialettica che a breve sarà superata dai fatti, da uno status delle cose oltre l'uso del denaro, obbligante con tutti i vincoli e le limitazioni che più che condizionare l'esistenza la incatenano. Un'impostazione che sta perdendo totalmente le caratteristiche del mezzo di scambio, ormai solo finalizzata a controllare, condizionare e obbligare, in modo che non si riesca più a sottrarsi alla condizione di dipendenza su cui si fondano le società del dominio, oggi potenti più che mai. Il problema vero allora va cercato e identificato nel trovar la maniera di andare oltre il denaro per come è definito organizzato e concepito. Bisogna ripensare come ricostruire autentici strumenti di scambio, questa volta autogestiti dalle comunità e non lasciati alle gestioni autoritarie della speculazione finanziaria.                
Andrea Papi

26 maggio 2014


ASSEMBLEA
DEI SOCI DEL
FONDO ETICO E SOCIALE DELLE PIAGGE



Sabato 31 Maggio 2014 alle ore 17,30


Centro Sociale “IL POZZO”
via Lombardia, 1/p tel. 055373737


alla fine dell’assemblea  chi lo desidera
potrà cenare all’Osteria Popolare

Il ricavato della cena sarà utilizzato per 
l’autogestione del Fondo Etico e Sociale

24 febbraio 2014


ASSEMBLEA DEI SOCI
DEL
FONDO ETICO
E SOCIALE DELLE PIAGGE



Sabato 8 Marzo 2014 alle ore 17,00



Centro Sociale “IL POZZO”
via Lombardia, 1/p tel. 055373737


L'assemblea è aperta a tutte le persone interessate


ATTENZIONE!

SABATO 8 MARZO

in occasione dell’Assemblea del Fondo Etico e Sociale delle Piagge saranno all’opera le pentole fumanti

dell’
OSTERIA POPOLARE delle Piagge,

che a prezzi modici ci permetterà di cenare senza dover portare niente se non piatto, bicchiere e posate.

E’ molto gradita la prenotazione.

Questa volta il ricavato dell’Osteria sarà utilizzato per finanziare l’autogestione del Fondo Etico e Sociale delle Piagge.

 Intervenite appetitosi!

17 febbraio 2014

La metamorfosi delle nostre prospettive – Antonietta Potente

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Mi resta sempre difficile parlare o scrivere su grandi problematiche, in pochi minuti o in poche righe.
Per questo ciò che dirò, sarà semplicemente una condivisione ad alta voce di alcune riflessioni che ho fatto in questi ultimi tempi attorno a questa problematica sintetizzata in questo slogan: dichiariamo illegale la povertà.


Alcune inquietudini


Prima e durante la manifestazione che ha inaugurato questo non facile cammino di impegno, mi sono domandata come mai su sei persone invitate a parlare sul tema e a confermare che è possibile cambiare, c’è solo una donna, cioè io. Non lo dico retoricamente, sono convinta infatti che ciò che abbiamo intrapreso è anche una questione di cambio di mentalità. Dichiarare illegale la povertà, infatti, parte da una logica a rovescio: una politica al rovescio,  un’economia al rovescio, per darci la possibilità di rovesciare totalmente questa situazione.  Allora, in questo senso,  mi domando come mai non ci sono altre donne, perché? Le donne, nella storia sono state sempre capaci di iniziative di sovversione: il capovolgimento di teorie e pratiche di vita. Non possiamo dunque, non interpellare più donne, quando sappiamo che noi donne, siamo capaci di strategie collettive che hanno portato la società a ripensarsi, anche se, purtroppo, non totalmente. E quando parliamo di povertà questo è ancora più vero, essendo precisamente le donne, quelle che conoscono di più i drammi dell’esclusione.


Comunque, chiusa questa parentesi e sperando che questa mia domanda serva agli organizzatori di questi eventi, per i prossimi anni, vorrei descrivere alcune idee che ho pensato in questi giorni.


Una visione altra


La prima riguarda appunto la mentalità. Penso, infatti, che se tutti coloro che, nel mondo, vogliono intraprendere questo cammino e, soprattutto nei mondi dove da un po’ di anni i popoli si sono messi in piedi dimostrando che la povertà è illegale -per  esempio in Bolivia-, se noi dunque, dichiariamo illegale la povertà,  dobbiamo dichiarare illegale quella mentalità che per secoli, ha creato esclusione, violenza e dunque povertà.


Questo dramma economico, a cui assistiamo attoniti,  nasce  anche da una mentalità, da una cosmovisione che noi abbiamo coltivato. Perciò prima di tutto, da parte nostra dobbiamo compiere una vera e propria autocritica. Noi dichiariamo illegale la povertà perché è stato illegale il modo come noi abbiamo pensato  la storia. Noi, tutti. Penso alla chiesa, al suo stile di missione e di evangelizzazione; la maggior parte delle volte è stato un “modo illegale” di trattare con i popoli, pensandoli sotto una certa luce: “minori di età” e materia prima per mantenere certi poteri. Ma penso anche  alle organizzazioni non governative, anche quando ci crediamo alternativi, ma in realtà non lo siamo perché anche noi coltiviamo questa mentalità in qualche modo paternalista e colonialista. I popoli hanno una loro storia, i popoli hanno una loro dignità insieme alle loro segrete strategie e questo è vero per comunità umane ma anche per ogni individuo. Nonostante l’esclusione che questo sistema politico ed economico ha creato, milioni e milioni di persone trovano delle strategie di vita; esercitano pratiche di sopravvivenza non solo economiche ma anche psicologiche, etiche.


Allora dichiarare illegale la povertà è dichiarare illegale anche la nostra mentalità che provoca esclusione, gerarchia e in qualche modo rende più lento ogni tipo di metamorfosi socio-politica ed economica.


Cambiare logica è importante, mentre portiamo avanti questa campagna che io spero  duri meno di 5 anni -come si propone nel programma- perché in 5 anni   possono succedere molte cose e, in 5 anni, si perderà molta gente; molti perderanno il loro lavoro, altri non lo troveranno; molti non potranno più studiare, altri non potranno più curarsi. Perderemo molte culture, perderemo ancora molti popoli  per le guerre, per le siccità provocate, quindi dobbiamo  sbrigarci.


L’inquietudine deve disturbare tutti


È un’inquietudine che ci deve risvegliare e assolutamente non può restare solo l’inquietudine dei mondi “alternativi”. Questa è un’inquietudine che deve arrivare al più presto  sui tavoli dei governi, nei dibattici politici, senza chiedere permesso e disturbare perché –come diceva il poeta e scrittore cubano José Marti: i diritti si prendono, non si chiedono; si sradicano, non si mendicano. Così è avvenuto in  Bolivia dove l’inquietudine della gente comune si è trasformata in leggi (la nuova costituzione politica dello stato) e in ispirazione politica e costituzionale.


Lo dico per noi che, invece, ci stiamo di nuovo preparando a queste schifosissime elezioni, disgustanti, sporche, dove i programmi vertono solo su i posti che occuperanno vecchi o nuovi personaggi  politicanti. Come pretendere davvero che queste persone non ci ingannino e che la dichiarazione dell’illegalità della povertà e di tutte le cause che la generano, diventi proposta di legge e programma?


Il presente


Un altro aspetto lo riscatto ancora guardando il presente della nostra storia e soprattutto quella italiana. Qualche giorno fa, lessi una notizia dove si diceva che la professoressa Fornero, ministra del lavoro, ha dichiarato che il Governo non  può più garantire il lavoro. Certamente lo diceva in un contesto preciso di fronte a chi scioperava (cfr. Il Manifesto. 7 settembre). Questo è molto triste e mi domando se ci rendiamo conto di ciò che significa che un governo “non può più garantire il lavoro”. La ministra Fornero è italiana e sa che la nostra Costituzione -che è anche la sua- si apre con una bellissima dichiarazione: l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Dico bellissima dichiarazione perché considero che il lavoro è una fonte di creatività e dunque di dignità di ciascuno di noi: è partecipazione attiva. Quindi se ciò che dice la Costituzione è vero, se noi togliamo il lavoro, -secondo i sillogismi che ci insegnavano quando studiavamo filosofia-, vuol dire che non esiste più questa democrazia  e questa Repubblica.


Per cui,  chi si impegna a dichiarare illegale la povertà entra davvero in un’autocritica profonda, e deve sapere che non è solo colpa dell’uno o dell’altro, ma che oggi come oggi sono stati smantellati i valori principali della convivenza. È per questo che dobbiamo fare in fretta; dobbiamo svegliarci e continuare a vigilare.


L’altro aspetto che riprendo dalla situazione storica attuale è che l’unico interlocutore dei governi, dei politici e persino della chiesa è il denaro. Il denaro è diventato un soggetto. Si salvano il denaro e le banche che lo accumulano, ma non le persone. Ma come sempre, quando mi trovo in difficoltà,  perché non capisco da dove dobbiamo partire, ho l’abitudine di chiedere consiglio alle persone che mi sono più vicine e anche a chi non c’è più e allora vado a cercare nei libri, qualche persona che ha ispirato con il suo pensiero parte dell’umanità. In questo caso e riguardo alla nostra inquietudine ho ritrovato parte di un testo di Marx, preso dalle opere filosofiche giovanili, anche se sono consapevole che nominare Marx in questo nostro contesto attuale, è come nominare un marziano.


Oltre alla bellezza di questo testo, vorrei far notare appunto che non si tratta del Marx che ha già istituzionalizzato il suo pensiero, ma del Marx del sogno, della passione giovanile.
Marx in questo breve testo sta parlando di questo strano soggetto che è il denaro. E tra le tante cose lui dice: il denaro trasforma, cambia la fedeltà in infedeltà, l’amore in odio, l’odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, lo schiavo in padrone, il padrone in schiavo, l’idiozia in intelligenza,  l’intelligenza in idiozia. Ecco, penso che queste parole ci dovrebbero aiutare; è un testo sapiente, un testo che metterei insieme a quelli della tradizione cristiana più bella. Ribadisco: se dichiariamo illegale la povertà è perché ci siamo accorti che siamo diventati degli oggetti e che l’unico soggetto di cui si sta parlando nella nostra politica  e da tutte le parti, persino nelle nostre cupole religiose, è il denaro. Questo denaro che ha il potere di trasformare tutto, anche i rapporti umani. Questo denaro che trasforma l’intelligenza in idiozia, l’idiozia in intelligenza. Esempio concreto, il governo che avevamo anteriormente: l’idiozia trasformata, camuffata in intelligenza e quello di oggi, osannato per la sua tecnicità che, grazie al denaro, sta trasformando la sua “intelligenza”   in idiozia. È anche per questo che, tra le tante cose, ci dicono che loro non possono garantire il lavoro! Garantiranno le banche, garantiranno le auto blu, garantiranno gli stipendi ai calciatori; garantiranno che la Chiesa non paghi niente allo stato, ma il lavoro no, non lo possono garantire.


Se non si garantisce il lavoro il nostro paese cadrà nel caos e questa  è un’inquietudine che oggi deve essere di tutti:  imprenditori, dipendenti; a livello statale e privato. In questo momento noi siamo tutti uguali e lo dobbiamo davvero gridare con forza e dobbiamo ripercorrere insieme questa marcia, questa marcia comune, che non si può fermare. Se solo firmiamo e poi ci fermiamo, saremo davvero coloro che comunque affidano ancora le loro speranze al denaro, non all’intelligenza, alla sapienza, alla sensibilità, all’esperienza, alla creatività umana, ma al denaro, continuando a fare il  gioco dei pochi che gestiscono la storia. Se non lo facciamo rovineremo i rapporti perchè il denaro trasforma, cambia.


Per concludere una domanda, forse un po’ retorica: come? Come possiamo fare? Vengo da un Paese dove  c’è stato insegnato qualcosa di importante. In Bolivia, uno dei primi passi per dichiarare l’illegalità della povertà, è stato quello di individuare chi sono coloro che accumulano? Cioè chi saccheggia la vita di tutto il resto del popolo e anche della terra, delle risorse naturali. Una delle malattie più gravi di questo nostro sistema è l’accumulo, per cui dichiarare illegale la povertà è vegliare perché nessuno accumuli più,  nemmeno lo Stato. Non solo accumulare denaro, beni, ma anche cultura, poteri. Perché accumulare cultura ha  significato fino ad oggi, portare avanti quella mentalità, quella logica di cui parlavo prima; quella che ci fa dire che gli altri sono inferiori, minori.


Accumulare significa anche, escludere altre culture, altri generi, nuove possibilità. Accumulare, dal punto di vista religioso, significa escludere la possibilità di altri credi, altre religioni, altre esperienze umane, sagge, che invece ci potrebbero aiutare. Allora molto semplicemente impariamo da altri Paesi anche a vigilare su questo aspetto: l’accumulo e impariamo anche a vigilare su noi stessi. L’accumulo è uno degli aspetti più gravi del nostro sistema; è l’anticamera in cui si elabora ogni esclusione e si toglie ogni possibilità: non lascia spazio, non lascia risorse, non lascia niente.


Il momento storico che viviamo è un tempo molto,  molto  ascetico nel senso bello di questa parola: è uno sforzo, è una lotta, è un tempo che richiede seri programmi di vita. Se firmiamo per dichiarare illegale la povertà,  dovremo andare avanti e incominciare  una lotta costante, un’ascesi, una fatica uno sforzo per essere fedeli   a quello che davvero  dichiariamo.


Allora si capisce perché questa è una lotta, uno sforzo. Quindi auguriamoci reciprocamente, buona lotta, buona ascesi, buona veglia.

01 febbraio 2014

a pranzo mi confondo
 
Domenica 9 Febbraio 2014
alle ore 13,15
centro Sociale IL POZZO via Lombardia,1/p – Le Piagge
pranzo di autofinanziamento del Fondo Etico e Sociale delle Piagge
Come sempre il ricavato è destinato al Fondo Etico e Sociale, ma questa volta è mirato al recupero di una parte del debito di un nostro socio, per qualcuno anche amico, che è deceduto
Il pranzo sarà a offerta libera
Intervenite numerosi
- informazioni e prenotazioni 055373737 -

03 gennaio 2014

UniCredit triplica e finanzia gli addestratori M-346 per Israele


UniCredit torna nel business dell'export di sistemi militari: non solo ha triplicato il valore delle proprie operazioni nel settore (dai 178 milioni di euro del 2011 ai 541 milioni del 2012) ma il nuovo impegno nel settore militare da parte del principale gruppo bancario italiano appare chiaro se si considerano sia la tipologia delle operazioni recentemente assunte sia la consistenza del sostegno ai "programmi intergovernativi".

UniCredit ha infatti deciso di offrire propri servizi finanziari alla maggiore singola operazione di esportazioni di armamenti del 2012: si tratta del contratto della Alenia Aermacchi per la fornitura a Israele di 30 velivoli da addestramento M-346. “L'operazione, parte dell’accordo di collaborazione tra il Governo Italiano e quello Israeliano firmato a luglio 2012, prevede il supporto di Sace Spa e Cassa Depositi e Prestiti Spa, società controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze” – spiega una nota apparsa sul sito del gruppo UniCredit (qui in .pdf) proprio oggi dopo la pubblicazione di questo articolo di Unimondo.

Di fatto, l’accordo per circa un miliardo di dollari relativo agli aerei addestratori M-346 per i piloti dei caccia d’attacco F-35 (che Israele ha intenzione di acquisire dalla Lockheed Martin) in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un pacchetto da un miliardo di euro di velivoli senza pilota e altro materiale bellico, rappresenta un mutamento considerevole nella politica estera del nostro paese: negli ultimi 20 anni le esportazioni di armi dall’Italia verso Israele infatti erano state quanto mai contenute.

Va anche ricordato che il velivolo M-346 non è solo un aereo per l'addestramento dei piloti: come spiega la brochure ufficiale di Alenia Aermacchi (qui in .pdf) "dall'inizio del programma, l'M-346 è stato concepito con l'aggiunta di capacità operative, con l'obiettivo di fornire un aereo da combattimento multiruolo molto capace, particolarmente adatto per l'attacco a terra e di superficie compreso il CAS (Close Air Support), COIN (COunter INsurgency) o anti-nave, nonché le missioni di polizia aerea". L'accordo congiunto Italia-Israele, data la rilevanza finanziaria dell'operazione e le implicazioni sulla politica estera del nostro paese, ha sollevato le proteste delle associazioni varesine e nazionali che da tempo hanno promosso la mobilitazione “Nessun M-346 a Israele”.

UniCredit figura inoltre al primo posto nella lista delle banche che hanno aperto linee di credito per sostenere i "programmi intergovernativi" (qui la Tabella in .pdf), quei programmi, cioè, che prevedono l'impegno congiunto del ministero della Difesa italiano con quelli di altri paesi per la produzione di armamenti: UniCredit ha assunto operazioni in questo settore per più di 738 milioni di euro (nel 2011 la cifra era superiore agli 870 milioni) che riguardano soprattutto due caccia multiruolo; gli Eurofighter Typhoon - EFA (694 milioni di euro) e i Tornado (oltre 26 milioni di euro). Seguono Deutsche Bank (poco meno di 316 milioni) e Intesa Sanpaolo (126 milioni), che però, come si è detto, è uscita del tutto dalle operazioni di esportazione a seguito dell’adozione nel 2007 della nuova direttiva.

fonte UNIMONDO.ORG