29 novembre 2010

Mutuo soccorso fiorentino di Pierluigi Sullo

Quel che si vede sempre meno, tra televisioni e giornali e urlacci della politica (guardare una trasmissione come «Ballarò» equivale a un forte mal di testa), è quanto le persone, le famiglie, si stiano sempre più impoverendo, i redditi stiano dimagrendo, i lavori scomparendo. Prendiamo Firenze, di certo non la città più povera in Italia. «Secondo i dati Istat rielaborati nel 2009 dall’Osservatorio della Società della Salute – scrive Alessandro Santoro, prete delle Piagge – gli abitanti di Firenze sono 365 mila: di essi circa 10 mila vivono in una situazione di povertà relativa, mentre 5 mila versano in condizioni di povertà assoluta». Perciò succede, come ciascuno può notare quando si ferma a un semaforo o parcheggia, che puntualmente qualcuno chieda l’elemosina o cerchi di vendere un pacchetto di fazzoletti di carta, proprio ciò che i sindaci – ridotti al ruolo di «sceriffo» dal progressivo furto delle loro sostanziali attribuzioni, come l’acquedotto e i servizi pubblici in generale – intendono combattere con ordinanze, divieti, multe. Ma a parte il fatto che a compiere il crimine di «accattonaggio», oltre a «zingari» e migranti, sono sempre più spesso poveri autenticamente nazionali, quel che non ci si chiede mai è come mai nessuno si prenda cura o offra qualche opportunità a queste persone precipitate oltre l’orlo della povertà. O meglio: c’è sì chi se ne prende cura. La Caritas, ad esempio, e molto altro associazionismo privato, e meno male. Ma il «pubblico»? Scrive sempre don Alessandro: «A nessuna persona in difficoltà può essere imposto un contributo economico per essere accolta in un posto caldo dove passare la notte, obbligandola di fatto, per raccogliere il denaro necessario, a compiere atti stigmatizzati dall’istituzione, come l’accattonaggio o il lavoro nero».

Ecco come il cerchio si chiude: l’avarissima solidarietà sociale delle istituzioni crea essa stessa i fenomeni che gli assessori fiorentini come quel tale Cioni che a suo tempo letteralmente creò una categoria di disturbatori della quiete pubblica, i «lavavetri», si ingegnano di reprimere. E in generale la situazione si va aggravando, causa crisi. I tagli tremontiani non colpiscono solo l’università o la cultura: a Napoli, tanto per fare un esempio, Regione e comune letteralmente non pagano i debiti, spesso pluriennali, che hanno contratto con il sistema della cooperazione sociale, senza la quale la disgregazione della società napoletana sarebbe assai più grave di quanto già non sia. Cooperative che impiegano migliaia di operatori (e stiamo parlando di quelle non sfruttano il lavoro) sono allo stremo, ciò che crea un circolo vizioso: povertà e disoccupazione si sommano a povertà e disoccupazione.

Naturalmente, per fronteggiare questa emergenza – questa lo è per davvero – ci sono i modi classici: rivendicare che le istituzioni pubbliche facciano il loro dovere; organizzare autonomamente reti di solidarietà sociali che cerchino a loro volta di ottenere risorse dalle casse pubbliche. Ora però la comunità delle Piagge, quella appunto di Alessandro Santoro - rimosso a suo tempo dal vescovo e poi rimesso al suo posto grazie a una insurrezione cittadina - propone in un appello (http://bit.ly/uneuro) un’altra possibilità. «Proponiamo – scrive Alessandro – che l’amministrazione comunale sostenga una campagna affinché ogni cittadino/a residente a Firenze e che abbia un reddito superiore ai 1.000 euro netti mensili (ovvero la soglia di povertà relativa) possa versare un euro al mese per la costituzione di un ‘Fondo di emancipazione sociale’». Il Fondo potrebbe «produrre opportunità di lavoro per le persone che sono costrette a vivere sulla strada a causa di gravi vicende personali, dei tagli del governo sulla spesa sociale, per l’inadeguatezza dei servizi pubblici». Insomma, un «mutuo soccorso» cittadino, un inizio di nuovo welfare comunitario. Che non è affatto una utopia: alle Piagge, quartiere tra i più poveri della città, da anni esiste un fondo per il microcredito, nutrito di contributi anche minimi, che ha gestito fin qui 150 mila euro e ha permesso a cento famiglie di non perdere la casa e non ricorrere agli usurai. In attesa che il sindaco «rottamatore» Renzi dia un segnale, chi vuole può contribuire con donazioni nel conto corrente della comunità delle Piagge: IBAN: IT10 R076 0102 8000 0002 4725 509. Causale «Fondo di emancipazione sociale».

ProgettoConciatori

20 novembre 2010

Un euro per l’accoglienza? Lo paghi chi ce l’ha. Appello per un “Fondo di emancipazione sociale”

Appello per la costituzione di un “Fondo di emancipazione sociale” nella città di Firenze. Adesioni su http://bit.ly/uneuro


L’accoglienza non può essere né monetizzata né mercificata. Se una persona vive in uno stato di emergenza ha il diritto di essere accolta senza dover tirar fuori un euro dalle proprie tasche, perennemente vuote.

Se è vero, come è vero, che le istituzioni hanno il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto l’eguaglianza tra cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona” (art. 3 della Costituzione), a nessuna persona in difficoltà può essere imposto un contributo economico per essere accolta in un posto caldo dove passare la notte. Obbligandola di fatto, per raccogliere il denaro necessario, a compiere atti stigmatizzati dall’istituzione stessa, come l’accattonaggio o il lavoro nero. Nessun presunto percorso pedagogico di inserimento può esistere sotto la pressione di un ricatto, per di più ammantato da una presunta dignità istituzionale.

A Firenze, secondo i dati Istat rielaborati nel 2009 dall’Osservatorio della Società della Salute, gli abitanti sono 365.000: di essi circa 10.000 vivono in una situazione di povertà relativa, mentre 5.000 versano in condizioni di povertà assoluta. Crediamo pertanto, e ci appelliamo all’amministrazione comunale e ai fiorentini e alle fiorentine tutte, di restituire ciò che è stato tolto agli ultimi e alle ultime, affinché possano tornare a vivere con dignità.

Proponiamo pertanto che l’amministrazione comunale adotti, sostenga e promuova una campagna affinché ogni cittadino/a residente nella città di Firenze, che abbia un reddito superiore ai 1.000 euro netti mensili (ovvero oltre la soglia di povertà relativa), possa versare un euro al mese per la costituzione di un “Fondo di emancipazione sociale” utile a produrre opportunità di lavoro per le decine di persone che sono costrette a vivere sulla strada a causa di gravi vicende personali, dei tagli del governo sulla spesa sociale, per l’inadeguatezza dei servizi pubblici. Un fondo, ma è solo un esempio, che possa retribuire nel pieno rispetto della legge coloro che utilizzano le strutture d’accoglienza per lavori di pulizia e di cura del luogo stesso che li ospita.

Tutto ciò è possibile. Niente di utopico. Il microcredito piaggese – che nasce e cresce grazie al principio morale “Se hai, hai per dare” – ha raccolto oltre 150.000 euro in uno dei quartieri più poveri della città grazie a piccoli versamenti, anche solo di 25 euro. Con quei denari, che costituiscono il “Fondo etico e sociale delle Piagge”, oltre 100 persone e famiglie con difficoltà economiche hanno potuto far fronte alle emergenze, fuggire dall’usura, recuperare una dignità perduta. Se questo è stato possibile ai margini della città, dove le risorse sono ridottissime, sarà certamente possibile costituire, con la partecipazione di tutti, un “Fondo di emancipazione sociale” per chi ne ha bisogno. A partire da subito.

Per questo ti chiediamo di aderire a questo appello, di girarlo ai tuoi conoscenti, di parlarne in famiglia, sul luogo di lavoro, a scuola e ovunque sia possibile appellarsi al senso di solidarietà dei fiorentini e delle fiorentine. Questo è il link da far girare http://bit.ly/uneuro.


Grazie per il tuo impegno a difesa della dignità degli ultimi.
Alessandro Santoro e la Comunità delle Piagge

( l'Altracittà giornale della periferia  http://www.altracitta.org/ )

10 novembre 2010

Microcredito di Prossimità

In questi ultimi anni “attivare progetti di microcredito” sembra essere diventata un’attività molto popolare e diffusa. Molte banche si mettono il vestito buono e, mentre commerciano in armi con la mano destra, con la sinistra forniscono denaro per finanziare progetti no profit, spesso anche a quegli stessi paesi a cui hanno sovvenzionato le armi. Come dire una mina e una mucca.
E anche quando i destinatari del credito sono persone le cose non cambiano: i bisogni vengono strumentalizzati a fini propagandistici da banche, finanziarie e spesso anche da alcuni enti locali che erogano “briciole di denaro” per risolvere problemi immediati, invece di attivare politiche sociali di autodeterminazione, inclusione e partecipazione che potrebbero realmente eliminare i problemi. In sostanza è molto più semplice dare denaro che non costruire relazioni.
Al contrario, il Fondo Etico e Sociale delle Piagge, il progetto di microcredito della realtà delle Piagge, da 10 anni cerca di costruire e diffondere modalità alternative capaci di pensare e utilizzare il denaro, tentando di mettere creatività, cuore e testa in un settore come quello della finanza che ci viene generalmente raccontato come noioso, incomprensibile e sterile proprio per evitare che le persone possano appropriarsene. Ed è proprio in questo camminare che abbiamo sentito il bisogno di aggettivare il vocabolo microcredito aggiungendoci il termine prossimità. Essere prossimi per essere vicini, per ascoltare, accogliere, costruire insieme sogni e speranze.
Nel microcredito di prossimità i prestiti sono di piccola entità e sostengono i bisogni delle persone che vivono in un territorio circoscritto e ben delimitato; non si tratta di beneficenza perché il denaro distribuito deve essere restituito per fornire ulteriore credito; non vengono richieste garanzie patrimoniali ma sono essenziali quelle relazionali; Il denaro è raccolto direttamente dalle persone e i rapporti tra i soci finanziati e finanziatori sono basati su principi di reciprocità, fiducia e responsabilità.
Alla base di tutto c’è quindi la relazione tra le persone, relazione a volte non facile perché nasce dalla richiesta di un aiuto concreto e, soprattutto all’inizio, è mediata dal denaro. Nel mondo che stiamo vivendo costruire relazioni avendo come argomento comune il denaro risulta abbastanza strano e soprattutto è complicato uscire dagli schemi del buonismo, della dipendenza e della gratitudine. Quando però si comincia a intravedere che i sorrisi, gli abbracci e le parole scambiate contribuiscono a costruire piccoli angoli di un mondo più giusto e conviviale, allora si dissolvono i dubbi e le paure e il filo che ci lega non è più rappresentato dal denaro ma dalla solidarietà e dalla prossimità.
Proprio il termine che aggettiva la parola microcredito.

(MARIA CHIARA MANETTI)

La leggenda di Tobin

Leggo su Repubblica di qualche settimana fa che i mercati non sono ancora pronti per la Tobin Tax, nonostante il sostegno di paesi come Francia e Germania. Sono incuriosita, non tanto perché l’articolo mi permette ancora una volta di toccare con mano com’è fatto il mondo dei poteri forti ed invisibili che domina le nostre vite, quanto per le motivazioni, diciamo così, di natura organizzativa, che impedirebbero l’applicazione della tassa. Provo a spiegare e a raccontare. Si tratta di una vecchia storia, che mi ha sempre affascinato, lanciata nel 1972 dall’economista e futuro Premio Nobel James Tobin. L’idea è quella di introdurre una tassa minima sui capitali finanziari da cui si otterrebbe un gettito potenziale enorme. Se si calcola infatti, che ogni giorno il solo mercato valutario muova, a livello mondiale, 4mila miliardi di dollari di transazioni, l’applicazione su questa mole di valore di un’aliquota anche molto bassa, per es. dello 0,1 %, produrrebbe un gettito di 1200 miliardi l’anno (un dollaro per ogni mille scambiati) che sarebbe possibile destinare a nobili scopi, quali la lotta alla povertà e gli sforzi per contrastare il cambiamento climatico; inoltre ci sarebbe l’effetto collaterale, ma non secondario, di scoraggiare le speculazioni rendendo più trasparenti gli scambi. Ed è proprio qui, nell’effetto trasparenza, che stanno i veri motivi per sostenere che la tassa è scarsamente praticabile. Per introdurla, infatti, occorrerebbe registrare tutte le transazioni, compresi i famigerati derivati, cioè quei titoli il cui prezzo è basato sul valore di mercato di altri beni (azioni, indici, valute, tassi ecc.). Inoltre, per avere efficacia, la tassa dovrebbe essere introdotta a livello mondiale perché, se lo facessero solo alcuni paesi, si otterrebbe, come unico effetto, di far fuggire i capitali da questi ultimi verso paesi che non tassano. Alcuni degli oppositori della Tobin Tax, tra i quali il Ministro de Tesoro britannico Osborne, sostengono anche che la registrazione di tutte le transazioni rallenterebbe troppo l’andamento dei mercati. Io però mi chiedo se nell’era di Internet e della banda larga, sia credibile che un atto, diciamo così, puramente formale com’è quello di registrare un’operazione finanziaria, sia in grado di rallentare un processo che viaggia comunque su un percorso completamente virtuale. Secondo me, il vero motivo, resta che, evitando la registrazione delle transazioni, le grandi piazze finanziarie mondiali possono continuare ad avere le mani libere facendo fluttuare i capitale senza regole ben definite, e privilegiando le trattative private e, soprattutto, segrete.
Insomma, anche a questo giro, la Tobin Tax rischia di rimanere un sogno nel cassetto, anche perché dalla City londinese, che muove da sola più di un terzo delle transazioni valutarie globali, arriva una netta opposizione, condivisa anche dal nostro Ministro dell’Economia Tremonti, che ha definito l’idea affascinante ma di scarsa praticabilità, vale a dire, l’ennesima “bizzarria” di qualche comunista delle prima era!
A questo punto, resta solo l’amaro in bocca per l’ennesimo impegno non preso e per l’ennesima occasione persa di fare qualcosa di buono per venire in aiuto a chi, a causa di questa crisi invisibile ed ingovernabile, ha visto il suo quotidiano sfaldarsi senza nemmeno capire perché.
Ultima notazione: la discussione sulla tassa è rimandata al G20 di novembre ma dal G8 del 2005, anno in cui i paesi ricchi si erano impegnati a sborsare 50 miliardi di dollari l’anno per i paesi poveri, nulla è cambiato anzi, se possibile, tutto è andato peggiorando ed il tema degli aiuti è semplicemente sparito dall’agenda dei vertici mondiali…
                                                                                                                            (ADRIANA ALBERICI)