13 novembre 2014

Credito esaurito

Il Movimento No TAV e l’Opposizione francese alla Lyon-Turin
richiamano l’attenzione dei media su quanto sotto riportato


A) Il Tunnel di Base della Torino-Lione costa oltre 12 miliardi di euro e non 8,5. Lo dicono i conti che RFI è tenuta a fare per legge.
B) L’Europa ha solo 5,5 miliardi di euro per progetti di questo tipo (core network), quindi è matematicamente impossibile che ne assegni la maggior parte (3,4 miliardi di euro) alla Torino-Lione.
C) L’Italia ha solo 1,37 miliardi di euro per la Torino-Lione, insufficienti a cofinanziare l’opera: sono quelli disponibili entro il 2020.
A+B+C= la Torino-Lione è morta, il Governo ha una stupenda occasione per destinare questo fiume di denaro a piccole opere utili a tutti gli italiani.
Testo del comunicato stampa

A) Ieri al Senato le Ferrovie e il Governo hanno fatto una pessima figura. Nessuno è stato in grado di spiegare in termini comprensibili quale sia il vero costo del Tunnel di Base (57 km) della Torino-Lione. L’asino è cascato sulla rivalutazione. I costi delle opere pubbliche sono soggetti a rivalutazione, non per colpa dell’inflazione ma per tenere conto di: revisione prezzi, oneri finanziari, adeguamenti progettuali e imprevisti (frequenti nei tunnel). Per legge il CIPE decide in base al “costo rivalutato a vita intera” e non sulle supposizioni dell’architetto di turno. I calcoli di RFI considerano una rivalutazione annua del 3,5%, il medesimo indice utilizzato nell’Analisi Costi Benefici di Virano e nel Progetto Definitivo di LTF. Il risultato fa oltre 12 miliardi di euro. La verità si saprà esclusivamente quando sarà effettuata una certificazione del costo da parte di un soggetto completamente terzo, come previsto nell’Accordo Italia- Francia del 30 gennaio 2012.
B) I fondi europei sono quelli del bando “2014 CEF Transport Multi-annual Call”. Per progetti “core network” come questo, il bando dispone di soli 5,5 miliardi di euro, ai quali ambiscono numerosi progetti in differenti Stati membri. Tra Brennero (3,4 miliardi di euro) e Torino-Lione (altri 3,4), l’Italia da sola vorrebbe contributi superiori a tale cifra. Se si aggiungono gli altri “pretendenti” europei (ad esempio i progetti Fehmarn Belt e Seine-Scheldt), i desideri sono oltre il doppio della disponibilità. Pertanto è matematicamente impossibile che la Torino-Lione riceva dalla UE 3,4 miliardi di euro, ovvero il 40% propagandato dai fautori dell’opera.
C) Nel Bilancio dello Stato, il cofinanziamento nazionale della Torino-Lione fa appello ad un’autorizzazione di spesa della Legge di Stabilità 2014 (capitolo MIT 7532). I fondi allocati ammontano complessivamente a 2,56 miliardi di euro, spalmati fino al 2029. L’Europa erogherà contributi esclusivamente su spese effettuate entro il 2020 (questo è il periodo di riferimento del bando in corso). I soldi a bilancio in anni successivi al 2020 non sono utilizzabili. Pertanto, con i fondi assegnati entro il 2020, attualmente l’Italia può coprire solo 1,37 miliardi di euro, sensibilmente meno di quelli richiesti per cofinanziare la Torino-Lione.
Questi elementi sono verificabili da qualsiasi cittadino su documenti pubblici: Contratto di Programma RFI, Progetto Definitivo LTF, Regolamenti CEF e TEN-T e relativo bando europeo, Legge di Stabilità dello Stato.
Il CIPE non è in grado di autorizzare l’opera, mancando tutti i presupposti: Valutazione di Impatto Ambientale (ferma da due anni), approvazione del Progetto Definitivo (idem), definizione certa del “costo a vita intera” (A), certezza del contributo europeo (B), disponibilità finanziaria nazionale (C).
Il Governo Italiano ha davanti a sé una stupenda occasione: anziché lasciarlo ingoiare dall’inutile Tunnel di Base della Torino-Lione, usi questo fiume di denaro per le piccole opere veramente utili agli italiani. Buon lavoro



www.notav.info/creditoesaurito

09 novembre 2014

Conti in ordine e retorica


L'imposizione sociale, politica ed economica aumenta a tutti i livelli,
si dilata, è inarrestabile, inafferrabile e anonima.
Ci avviluppa quotidianamente.
Non è facile identificarla né combatterla.


La cosa attualmente più rilevante è l'irrilevanza sostanziale delle politiche nazionali. In Italia è di un'evidenza sconcertante. Da quando la cosiddetta crisi ha ufficialmente preso avvio, infatti, si sono alternati dei governi molto simili tra loro, denominati di “larghe intese”. Uno dopo l'altro hanno bellamente fallito il compito di “portarci fuori dal guado”. In realtà si tratta di accozzaglie politiche per una sbandierata “salvezza nazionale”, reiterata proposizione seriale di un reazionario “patto di ferro” conservativo tra le forze più autoritarie degli schieramenti di destra e sinistra. Dopo la decadenza da premier di Berlusconi per ostentata inadeguatezza, presentati ogni volta con gran suono di fanfare sono stati approntati prima Monti, poi Letta, ora Renzi. Uno dopo l'altro hanno mostrato e continuano a mostrare la più completa incapacità a risolvere i problemi che ci assillano. Al contempo, avendone annullato senso finalità e differenze, stanno dimostrando quanto sia menzognera e fallace la ripartizione istituzionale tra destra e sinistra, ridotte a meri schieramenti per spartizioni di poltrone e di potere.
Tutti incapaci? Oppure c'è qualcosa di sovrastante che oggettivamente non permette d'intervenire in modo adeguato? Accanto a competenze vistosamente poco brillanti, non di rado incompetenze, emergono con sempre maggior forza un insieme di condizioni che limitano e circoscrivono qualsiasi intervento atto a governare lo stato delle cose. Le politiche nazionali appaiono sempre più in ostaggio, indotte a scegliere ed agire da pressioni che vedono in gioco egemoniche potenze sovrastatali capaci di vincolare pesantemente. I vari management italiani succedutisi negli ultimi decenni, essendosi divertiti in più che allegre gestioni incuranti delle conseguenze, hanno costruito addosso a tutti noi situazioni che si stanno dimostrando particolarmente devastanti. I vari mediocri politici di turno non riescono a liberarcene (o non vogliono?), rendendole vieppiù intricate e inestricabili.
Osservando i fatti e lo svolgersi delle cose, cercando di coglierli nel loro compiersi naturale non per come si subiscono, sono sempre più convinto che all'interno dell'esistente non sia possibile trovare soluzioni che vengano incontro alla popolazione nel suo insieme. La plumbea situazione vigente, equiparabile a un soffocante sistema gordiano, pur continuando a modificarsi non muta propensione e fondamenti originari. Ad ogni atto sembra voler garantire e rafforzare lo status di disparità, disuguaglianze e ingiustizie che opprime da millenni le categorie sociali sottoposte. In questa fase la grandissima quantità di quelli che non contano sta subendo asfissianti controlli e pesanti manipolazioni eco/tecnologiche, mentre le oligarchie finanziarie dominanti e le schiere dei loro accoliti si stanno rimpinguando abbondantemente.
Occorre uno sguardo diverso, capace di porsi oltre l'apparenza dell'esistente e ansioso di scrutare orizzonti che finora sono apparsi imperscrutabili. In tal senso la fisica quantistica ci offre una chiave di lettura illuminante. “Quando cambi il modo di osservare le cose, le cose che osservi cambiano”, ci suggerisce uno dei suoi presupposti fondanti. Dobbiamo innanzitutto smettere di decifrare la realtà attraverso il filtro di schemi interpretativi che non sono più in grado di comprenderla, addirittura di vederla. Se capissimo e accettassimo la radicalità incontrovertibile del fatto che sono proprio i fondamenti dell'esistente la causa principale dei disastri che continuamente i governi cercano di rattoppare, forse riusciremmo a concentrarci sulla ricerca di scelte che, volendo superare e annullare l'esistente, cerchino d'impostare fondamenti diversi da quelli che ci opprimono.
Ci renderemmo allora conto che la radice dei problemi che ci attanagliano è a monte e ci accorgeremmo che ciò che dobbiamo risolvere non è tanto la percentuale dello spread, o un'efficiente spending rewiew o l'ammontare del debito o tutte le altre gabbie socioeconomiche con cui è stato imprigionato il presente stato di cose. Adesso ci viene trasmessa l'urgenza di doverne dipendere perché ci troviamo dentro il gorgo irrisolvibile di una spirale finanziaria attanagliante impostata ad hoc. In particolare il debito pubblico, madre malefica di tutti i disastri che c'incatenano, che non abbiamo fatto noi individui senza potere ma ci è stato cucito addosso dall'ingordigia di chi domina, in quanto tale esiste solo se riconosciuto. “Un debito è solo la perversione di una promessa. È una promessa corrotta dalla matematica e dalla violenza” (Debito, di David Graeber, pag. 379). Nasce migliaia di anni fa in concomitanza col denaro per rendere schiavo chi era debitore ed ha continuato a sussistere, perfezionandosi, nei diversi contesti succedutisi. È un'entità astratta guidata da spinte dominatrici e direzionata a produrre effetti concreti rovinosi.
Illuminante in tal senso il trattamento regalato alla Germania sconfitta dalla seconda guerra mondiale. Oltre a ricevere gli aiuti del Piano Marshall per la ricostruzione, come ogni altro stato alleato europeo, “nel 1948 l'America decise semplicemente di abbuonare tutto il debito accumulato dalla Germania durante il regime nazista di Hitler. Il debito pubblico della Germania nel 1948 ammontava al 675% del Pil nazionale. Più del quintuplo dell'attuale debito pubblico italiano” (Banchieri, di Federico Rampini, pag. 24). La Germania dunque, che all'interno dell'Europa sta imponendo la dittatura di condizioni capestro in nome di un preteso rigore (sugli altri che adesso dipendono dalla sua forza), è riuscita a diventare la potenza tirannica che è proprio perché le è stato concesso ciò che ora impedisce ad altri con tutte le proprie abbondanti forze. Una tale arroganza è una dimostrazione eloquente che i debiti sono massacranti non in virtù propria, ma perché ingiunti per volontà di potenza non necessarie.

Vincoli inscindibili

Le forze oggi dominanti sembrano volerci letteralmente massacrare. Lo fanno con modalità più ambigue e raffinate della classica guerra guerreggiata, che comunque all'occorrenza viene messa in atto senza scrupoli, seminando rovine di vite distrutte invece delle macerie fumanti dei bombardamenti. Il fondamento del potere è sempre di più una specie di “costrizione obbligante”, la messa in opera di vincolanti condizioni oggettive cui non riesci a sottrarti. Mentre il classico vecchio esercizio del comando, cioè la costrizione attraverso imposizioni date da ordini gerarchici, è sempre meno efficace e più obsoleto.
La creazione del “debito istituzionale insolvibile”, che lega mani e piedi a creditori finanziari potenti, la pretesa di dover tenere “conti pubblici in ordine”, sciolti dalle responsabilità personali degli amministratori e che intrappolano intere popolazioni artatamente amministrate, la creazione sistematica e continua di norme e leggi che regolamentano ogni movimento e ogni aspetto della vita quotidiana individuale, sono macro/aspetti di normazione quotidiana che creano volutamente una “costrizione obbligante”, capace di rendere infernali le vite delle persone, completamente assoggettate e senza nessuna possibilità di replica o soluzione.
L'imposizione sociale politica ed economica, aumenta a tutti i livelli, si dilata, è inarrestabile, inafferrabile e anonima.
Di fronte a questa aggiornata forma di dominio totalizzante decadono le vecchie modalità di lotta, perché perdono di senso le logiche antitetiche del “muro contro muro”. Non ci si può contrapporre né fare guerra né serve combattere, perché subiamo costrizioni indirette più che imposizioni dirette. La lotta per la libertà allora non può che esprimersi attraverso la ricerca di come sottrarsi alle condizioni obbliganti, per riappropriarsi in pieno di autonomia di scelta e decisione, cioè riappropriazione della politica come riferimento principale della gestione comunitaria, questa volta non gerarchica e autenticamente autogestita.
Andrea Papi